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Ultimo aggiornamento: 14/07/2007

Diversi cambiamenti ecologici hanno giocato un ruolo determinante nella transizione evolutiva acqua-terra dei tetrapodi.
Questi cambiamenti sembrano essere la conseguenza della colonizzazione della terraferma da parte delle piante vascolari, un processo iniziato nel periodo siluriano (435-410 milioni di anni fa) con l’origine e la radiazione adattativa delle riniofite.
Puoi scaricare qui la versione 2002 della carta stratigrafica globale della IUGS (International Union of Geological Sciences).

Alcuni resti fossili sono noti persino da strati superiori dell’ordoviciano, circa 440 milioni di anni fa (Arens et al., 1998: UCMP).

Gli ambienti di transizione, all’interfaccia fra acqua e terre emerse, offrirono a questi autotrofi una maggiore disponibilità di radiazione luminosa, di ossigeno e di anidride carbonica nel mezzo aereo, tassi più elevati di diffusione dei gas, e suoli di norma più ricchi di minerali (Raven et al., 1984).

L’origine ed espansione delle piante vascolari sulla terraferma ebbe luogo così lungo il bordo dell’acqua, probabilmente in ambienti a bassa energia con substrati a sedimento fine o finissimo, come estuari, paludi, o rive dei tratti inferiori di corsi fluviali, dove i primi rudimentali apparati radicali potevano più facilmente ancorarsi.

Durante il devoniano inferiore e medio, alla prima apparizione ed espansione dei due maggiori gruppi di piante vascolari terrestri: le licofite e le eufillofite, seguì la diversificazione di varie linee di artropodi sempre più terrestri, come quella degli scorpioni (Clack, 2002; Murphy, 2005: Opportunity knocked).

Durante il devoniano superiore diversi taxa di piante andarono incontro ad un’estesa radiazione adattativa in habitat semi-terrestri e la copertura vegetale delle terre emerse andò incontro ad una drammatica espansione: la cosiddetta 'esplosione devoniana'.

Eufillofite come le prime grandi progimnosperme arboree (per es. Archaeopteris sp.) si diffusero rapidamente da aree di transizione in ecosistemi più tipicamente terrestri.

Ciò indusse radicali cambiamenti nell’ambiente.

 
Devonian landscapes

A sinistra: ricostruzione di un tipico paesaggio del devoniano inferiore; a destra: due tetrapodi primitivi lungo le sponde di un corso d’acqua del devoniano superiore: Acanthostega gunneri (in basso) ed Ichthyostega stensioei (in alto).
A sinistra: © Z. Burian (In: Špinar & Burian, 1972); a destra: illustrazione di J. Sibbick © PBS (In: A Brief History of Life, 2006), con il permesso dell’autore



Devonian lanscape2

Un altro paesaggio devoniano (daPalaeos: 11/2005;
illustrazione © Naturmuseum Senckenberg)



Primary production

Produzione primaria netta media (grammi di materia secca /m^2/anno) misurata per quegli ecosistemi attuali che si considerano simili per caratteristiche generali a quelli presenti nel devoniano superiore.
dsx= deserti (roccia, sabbia, ghiaccio); os= oceano aperto; cs= piattaforma continentale; l-r= laghi e fiumi; upw= zone di risalita; tsf= foresta tropicale stagionale; es= estuari; tpf= foresta tropicale pluviale; abr= letti algali e barriere coralline; sw= paludi e marcite.
Dati da Whittaker & Likens, 1973; e da Bullini et al., 1998



Verso la fine del devoniano superiore questi nuovi ecosistemi umidi erano probabilmente fra i più produttivi della biosfera, specialmente alle latitudini tropicali e nella zona intertidale, dove era disponibile l’energia supplementare delle maree, in grado di promuovere un rapido turnover dei nutrienti (Odum, 1983).

Questa ipotesi si basa su un confronto fra le produzioni primarie nette degli ecosistemi oggi esistenti.

Si assume cioè che nel devoniano superiore gli ecosistemi terrestri fossero già sufficientemente simili ad alcuni ecosistemi moderni da postulare l’esistenza di simili dinamiche ecologiche generali (Odum, 1983; Bullini et al., 1998; Clack, 2002; Murphy, 2005).




Diversi modelli geologici indicano che il periodo devoniano è stato testimone di un rapido e drammatico aumento della concentrazione di ossigeno atmosferico, e di una contemporanea riduzione della concentrazione di anidride carbonica (Graham et al., 1997).

Questa fu senz’altro una delle più importanti conseguenze dell’aumento della copertura vegetale sulle terre emerse.

L’evoluzione di strutture rigide e resistenti, sia per sostenere il peso fuori dall’acqua, che per trasportare le sostanze nutritive in tutte le parti del corpo, permise a questi autotrofi sempre più terrestri di evolvere corpi sempre più grandi.

L’impalcatura corporea conteneva già composti organici come cellulosa e lignina, particolarmente resistenti alla degradazione chimica e all’attacco microbico (Odum, 1983).
Ciò causò un rapido aumento del tasso di accumulo di carbone organico nei sedimenti emersi.


Per la prima volta dall’origine della vita sulla Terra, grandi quantità di carbone organico cominciarono ad accumularsi al di sopra del livello del mare.

 

oxygen vs. carbon dioxide


Fluttuazioni delle percentuali di ossigeno e anidride carbonica secondo diversi modelli durante le ere geologiche del Paleozoico e Mesozoico.
Tutti i modelli indicano un netto incremento del livello di ossigeno ed un contemporaneo decremento del livello di anidride carbonica alla fine del periodo devoniano (D). PAL= Present Atmospheric Level (livello atmosferico attuale). Modificato da Graham et al., 1997, con il permesso degli autori



adsorbance

Sia la concentrazione di carbonio organico che quella dei nutrienti nel sedimento aumentano con la diminuzione delle dimensioni dei granuli.
TOC (wt%)= quantità totale di carbonio organico: percentuale in peso; TN (wt%)= quantità totale di azoto: percentuale in peso; %mud= fango presente nel sedimento: percentuale in peso.
Dati misurati da un moderno estuario dominato dall’azione marina; risultati analoghi sono stati ottenuti in valli fluviali allagate. Modificato da Logan & Longmore, In: Radke et al., 2003, con il permesso degli autori.

Dove è più probabile che questa enorme massa di materiale vegetale prodotta 'lungo il bordo dell’acqua' si andasse accumulando dopo la morte e quali sarebbero state le conseguenze ecologiche di questo processo?

Di nuovo, si può assumere che durante il devoniano agissero le stesse dinamiche sedimentologiche generali che agiscono al tempo presente.

I siti di accumulo della materia organica sono in gran parte sotto il controllo di processi che determinano il trasporto e la deposizione del sedimento fine, poiché la materia organica viene adsorbita su superfici minerali ed ha una grande affinità per il sedimento a granulometria fine (Logan & Longmore, 2003).

D’altro canto, il sedimento fine si deposita solo in condizioni di bassa energia ambientale, come sul fondo di laghi, in piane alluvionali, estuari, piane tidali e bacini marini profondi (Ricci Lucchi & Mutti, 1980).


Vale a dire, con la sola eccezione dell’ultimo tipo di ambiente, esattamente dove si ritiene che la materia organica venisse prodotta in grandi quantità durante il devoniano superiore.



Inoltre, la vegetazione in rapida espansione doveva esercitare nelle acque basse una forza di attrito che diminuiva fortemente l’energia deposizionale (come oggi avviene nelle foreste a mangrovie: Mazda et al., 1997a,b), aumentando così il tasso di sedimentazione del sedimento fine.
Gli apparati radicali stabilizzavano poi i depositi sedimentari, riducendo così i tassi di erosione.

Al di sotto della superficie dell’acqua il più alto tasso di sedimentazione riduceva la durata del contatto fra ossigeno in soluzione e materia organica, inibendone la decomposizione aerobica e contribuendo all’accumulo di carbone organico e di nutrienti nel sedimento (Logan & Longmore, 2003).

Sulla terraferma, l’elevato apporto di detrito organico ed i brevi tempi di seppellimento ebbero come conseguenza un consumo microbico dell’ossigeno più rapido del tasso di diffusione del gas attraverso il sedimento. Ancora una volta ciò risultò in un aumento dei tassi di accumulo, a causa della più lenta decomposizione da parte di microorganismi anaerobici (Odum, 1983). Inoltre, il tasso di diffusione dei gas è positivamente correlato con la granulometria del sedimento: la decomposizione in sedimenti fini e impregnati d’acqua è essenzialmente anaerobica.

Le prime piante arboree devoniane contribuirono poi ad aumentare ulteriormente la percentuale di particelle fini nel suolo attraverso la produzione diretta e la distribuzione di acidi organici, che rilasciati dalla lettiera superficiale poterono penetrare nel sedimento più profondo lungo gli apparati radicali (Murphy, 2005: Plants and soils).

Questi processi, noti anche come ‘biological weathering’, aumentarono significativamente la proporzione di particelle fini nei sedimenti, ed in particolare delle argille.

 

plants & TOC

rhizosphere



A destra, in alto: TOC (wt%)= quantità totale di carbonio organico (valori mediani delle percentuali in peso), nel sedimento di alcuni moderni estuari dell’Australia sud-occidentale (in ordinata) e percentuale dell’area del bacino idrico deforestata (in ascissa).
Il TOC nel sedimento diminuisce all’aumentare della quantità di vegetazione nativa rimossa dal bacino idrogeografico.
Modificato da Logan & Longmore, In: Radke et al., 2003, con il permesso degli editori.

A destra, in basso: modello grafico di una rizosfera, il volume che circonda le radici di una pianta vascolare, dove ha luogo il ‘biological weathering’.
Elaborazione grafica: Prusinkiewicz P., 1991 (Algorithmic Botany), con il permesso dell’autore




flow diagram  


I primi ecosistemi semi-terrestri dunque, occupavano ambienti di acque basse dolci e salmastre, erano caratterizzati da una bassa energia deposizionale e da depositi di sedimento fine, e andavano incontro ad una rapida espansione, divenendo ambienti di accumulo di nutrienti e di carbonio organico.

Qui andarono sviluppandosi reti trofiche di detrito sempre più complesse, man mano che un numero sempre maggiore di specie animali appartenenti a gruppi originariamente marini iniziarono a sfruttare queste sovrabbondanti risorse trofiche.

 


A sinistra: diagramma di flusso di energia e di materia in un ipotetico ecosistema umido del devoniano superiore.
A1= piante terrestri; A2= piante acquatiche; C1= consumatori aerobici; C2= consumatori anaerobici; E= materiali sospesi dalla turbolenza; G1= materia organica sospesa; G2= materia organica sedimentata; M1= particelle minerali sospese; M2= particelle minerali sedimentate; R= rocce; S= radiazione solare; T1, T2= nutrienti; U= turbolenza, correnti, maree; W= acqua;
in, out= materia in entrata, materia in uscita (materiale sospeso); e= erosione; g= forza di attrito (riduzione dei tassi di erosione, aumento dei tassi di sedimentazione); h= biological weathering; n= adsorbimento; r= seppellimento rapido; s= sedimentazione; t= trasporto; v= energia solare che entra nel ciclo idrico; y= produttività primaria delle piante terrestri; z= stabilizzazione dei sedimenti;
le frecce che toccano i confini dei due subsistemi (materiale sospeso e depositi di sedimento fine) rappresentano flussi che agiscono su tutti i compartimenti all’interno del rispettivo subsistema



Devonian lungfishes


Questi processi condussero alla formazione ed espansione di ampi depositi fangosi a lieve pendenza, realizzando estesi gradienti ecologici dall’acqua alla terraferma, lungo i quali le condizioni ambientali variavano continuamente e gradualmente, da acquatiche a subaeree.

Tali ecosistemi furono rapidamente colonizzate da una fauna acquatica a vertebrati sempre più ricca e diversa.

La radiazione adattativa lungo questi gradienti ecologici venne regolata da fattori autoecologici e sinecologici, quali la disponibilità di acqua e di ossigeno in soluzione e la competizione inter- ed intraspecifica.

E’ da notare poi che lungo le coste questi gradienti si estesero ulteriormente verso terra a causa di specifici processi sedimentologici tidali (Ricci Lucchi & Mutti, 1980).

L’espansione delle piante vascolari nel corso del devoniano medio e superiore in habitat semiterrestri indusse dunque cambiamenti drammatici nella composizione, produttività e complessità degli ecosistemi a fondo soffice estuarini, lotici e lentici.

Uno straordinario aumento dell’abbondanza e diversità delle faune estuarine e dulcacquicole è documentato dal record fossilifero sin dal siluriano superiore e durante tutto il devoniano (Murphy, 2005: Going Upstream).


Durante il devoniano i pesci polmonati (dipnomorfi) andarono incontro ad un’estesa radiazione adattativa mentre nel corso dell’invasione dei ricchi e produttivi ecosistemi d’acqua salmastra e d’acqua dolce.
Le specie del devoniano inferiore, come Dipnorhynchus sp. (A), erano marine; sin dal devoniano superiore però i pesci polmonati si specializzarono progressivamente alla vita in ambienti estuarini e d’acqua dolce, acquisendo un disegno anatomico pedomorfico (per es. Phaneropleuron sp., B) e colonizzando habitat che con pochi cambiamenti avrebbero mantenuto sino ai nostri giorni (Protopterus sp.: C).
Si noti la visibile riduzione delle ossa opercolari da A a B a C, come conseguenza dello sviluppo delle strutture adibite alla respirazione aerea.
A: ridisegnato da G. Polgar da Long, 1995; B: modificato da Saxon, 1975 © Fish Out of Water (11/2005); C: disegno da Eccles, 1992 © Froese & Pauly (2005): Fishbase. Disegni non in scala



ozone  

L’aumento dei livelli di ossigeno nell’atmosfera rese anche possibile l’ispessimento dello strato di ozono devoniano, già formatosi in seguito all’azione fotosintetica degli autotrofi unicellulari durante il proterozoico (2500-540 milioni di anni fa: Bullini et al., 1998).

La conseguente riduzione dell’intensità delle radiazioni ultraviolette (UV) che raggiungevano il suolo terrestre, probabilmente favorì la colonizzazione da parte dei vertebrati degli ambienti subaerei (Raven et al., 1984). Va considerato infatti che l’esposizione alla radiazione UV può indurre gravi danni al DNA, e che l’aria è in grado di assorbirle assai meno efficacemente dell’acqua.

Si possono distinguere tre tipi di radiazione UV, in ordine di crescente energia e grado di attività sul DNA: UVA, UVB, ed UVC.

Al momento presente, lo strato di ozono si trova ad un’altitudine compresa fra i 15 ed i 60 Km sul livello del mare, ed è in grado di assorbire completamente le pericolose radiazioni UVC (200-280 nm), impedendo loro di raggiungere la superficie terrestre.
Anche le radiazioni UVB (280-320 nm) vengono fortemente assorbite, anche se una piccola frazione riesce a raggiungere la superficie. Le radiazioni UVA (320-400 nm) sono assorbite solo in parte dallo strato di ozono. Gran parte di queste radiazioni raggiunge la superficie della Terra.


Flusso solare attuale (in ordinata: watt/cm^2/nm) e lunghezza d’onda in nanometri (in ascissa: nm), a diverse altitudini (limite superiore dell’atmosfera; 30 km; 20 km; e superficie terrestre).
La linea rossa indica il flusso al livello della superficie per una riduzione del 10% dello spessore dello strato di ozono. La linea blu indica i valori dello spettro di azione sul DNA umano, vale a dire la probabilità di danneggiare il DNA che hanno radiazioni UV di diverse lunghezze d’onda.
Modificato da Newman, 2002 (© NASA GFSC SEES), con il permesso dell’autore



Quali furono gli effetti di questi drammatici cambiamenti sulle condizioni di questi ambienti di acque basse?

Lungo il bordo dell’acqua, dove la vegetazione era abbondante, l’elevata domanda di ossigeno della materia organica e la bassa permeabilità dei sedimenti fini resero queste acque calde e basse cronicamente o periodicamente ipossiche.

Con ogni probabilità ciò poteva accadere sia in acqua marina che in acqua dolce: quotidianamente (per es. in pozze tidali), oppure stagionalmente (per es. in piane alluvionali e in sistemi lacustri o fluviali, in seguito a inondazioni o periodi di siccità).

Tali condizioni ambientali devono aver selezionato favorevolmente ed efficacemente qualsiasi adattamento per la respirazione aerea che fosse apparso nei vertebrati acquatici che iniziarono a colonizzare questi ecosistemi (Horn et al., 1997; Inger, 1957).

Anche in numerosi e disparati gruppi di pesci moderni l’ipossia ambientale sembra avere spesso giocato un ruolo determinante nell’evoluzione della respirazione aerea (vedi anche Respirazione bimodale).

Strutture complesse come le narici palatali interne, o coane, sembrano aver avuto origine nel devoniano medio in maniera indipendente sia nei dipnomorfi (pesci polmonati) che nei tetrapodomorfi osteolepiformi (probabili antenati di tutti i tetrapodi) (Long, 1995; Zhu & Ahlberg, 2004; Murphy, 2005).

Si suppone che simili cambiamenti anatomici, fortemente convergenti, avessero come funzione la respirazione aerea, come suggerisce l’analisi comparata di strutture simili in tutti i vertebrati terrestri viventi. E’ ragionevole che tali strutture avessero un considerevole valore adattativo nel corso del processo di colonizzazione degli ambienti d’acqua dolce e salmastra.

Durante il devoniano superiore si presentò un’opportunità evolutiva unica per quelle specie di pesci in grado di respirare in aria e che vivevano in acque basse tropicali.

Abbondanti risorse trofiche, ambientali e metaboliche, così come habitat liberi da competitori vertebrati, erano a disposizione di qualsiasi linea evolutiva di pesci che fosse riuscita ad aumentare gradualmente il proprio grado di terrestrialità (Clack, 2002).

 

choanas

Evoluzione delle coane nei tetrapodomorfi.
Durante il devoniano nell’ambito della linea evolutiva dei tetrapodomorfi, le narici posteriori si spostarono verso il palato tramite la perforazione dell’arcata mascellare-premascellare, dando origine alle coane.
Un analogo processo, contemporaneo ma indipendente, ebbe luogo nella linea dei dipnomorfi, attraverso la perdita dell’arcata e lo spostamento verso l’interno del labbro superiore (Zhu & Ahlberg, 2004).
Tale struttura rendeva possibile 'inghiottire' aria attraverso le narici rimanendo sotto il pelo dell’acqua, o con una preda in bocca (Romer & Parsons, 1986). Tutti i moderni tetrapodi e dipnoi ne sono provvisti.
A= Holoptychius sp., un porolepiforme: condizione ancestrale (devoniano superiore); B= Kenichthys campbelli, un tetrapodomorfo basale: stadio intermedio (devoniano inferiore); C= Eusthenopteron sp., un osteolepiforme: condizione derivata (devoniano superiore);
A sinistra: crani privi di mandibole; a destra: viste ventrali parziali del palato; an= narice anteriore; ch= coana; m= osso mascellare; n= narice esterna; pm= osso premascellare; pn= narice posteriore; v= vomere.
Si noti che il porolepiforme Holoptychius sp., pur essendo coevo della forma derivata e persino più recente di quella intermedia, ha conservato la condizione ancestrale.
Adattato da: Long, 1995* (cranio di Holoptychius sp.); Zhu & Ahlberg, 2004 (disegni dei palati, cranio di Kenichthys campbelli, © Nature, Macmillan Publ. Ltd*); e Clack, 2002* (cranio di Eusthenopteron sp.). Disegni non in scala;
*con il permesso di autori e/o case editrici




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